La rivoluzione francese by Gaetano Salvemini

La rivoluzione francese by Gaetano Salvemini

autore:Gaetano Salvemini [Salvemini, Gaetano]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2011-12-21T04:59:27+00:00


5.

I prelati più intransigenti e i realisti più attivi organizzarono una energica agitazione contro le nuove leggi ecclesiastiche, per costringere il Papa a prendere apertamente posizione. Il basso clero, che aveva finora favorito la causa rivoluzionaria, era profondamente disorientato: l’Assemblea aveva migliorato la condizione economica dei curati assegnando loro una porzione congrua minima di 1200 lire annue, ma lo sconvolgimento della disciplina ecclesiastica turbava le coscienze più sinceramente religiose. L’inquietudine crebbe quando l’Assemblea rifiutò di accettare la proposta fatta dalla Destra perché il cattolicismo fosse dichiarato religione dello Stato (13 aprile 1790).

In Alsazia i vescovi ordinavano preghiere, come in tempi di calamità pubbliche, e pubblicavano mandamenti contro le leggi ‘brigantesche’ che spossessavano il clero. Nella Francia meridionale, a Montauban e a Nîmes, gli odi secolari fra protestanti e cattolici prorompevano in tumulti sanguinosissimi (aprile-giugno 1790).

Continuavano a serpeggiare qua e là i tumulti annonari. L’esercito era in piena crisi: a Lille, nell’aprile 1790, i reggimenti aristocratici e i reggimenti patriottici venivano alle armi.

Anche la bassa nobiltà, nella primavera del 1790, passava definitivamente alla controrivoluzione. - Finora i soli grandi signori erano stati direttamente e gravemente colpiti dalle distruzioni dei castelli e dalla lotta contro il parassitismo cortigiano. La piccola nobiltà provinciale era rimasta esitante sul partito da seguire, perché la perdita dei diritti feudali era stata risarcita in abbondanza dalla soppressione della decima ecclesiastica, e l’avversione contro l’alta nobiltà era così acuta, che tutto quanto feriva i grandi era guardato con simpatia dai piccoli. A rompere ogni incertezza, intervennero due decreti della Costituente. Col primo (15 marzo 1790) si abolivano i diritti dei primogeniti e dei maschi nelle successioni feudali, e si rendevano eguali in diritto tutti i figli, senza distinzione di età o di sesso. Col secondo (19

giugno) si sopprimevano i titoli di nobiltà. Era la sovversione completa di tutto il secolare ordinamento della famiglia feudale; era una sfida a tutti gli orgogli della vecchia nobiltà: l’aristocrazia spariva come classe, sommersa dal diluvio plebeo, allo stesso modo che il clero spariva come ceto autonomo, assorbito nella nuova gerarchia elettiva civile.

Ma la grande maggioranza del paese rimaneva sempre favorevole ai partiti rivoluzionari. Le raccolte del 1789 erano appena bastate a tenere le anime legate ai corpi, ma non così cattive come quelle del 1788. Quelle del 1790, discrete. Ma per le classi rurali, l’abolizione della decima e la fine dei diritti feudali rappresentavano una economia annua di più che 300 milioni, e la liberazione della terra da mille vincoli e mille inciampi contrari alle trasformazioni agrarie.

L’alto prezzo delle derrate sollecitava queste trasformazioni. Si aspettava con impazienza la vendita all’incanto dei beni ecclesiastici. Dopo lo sfacelo amministrativo del 1789, i contadini non pagavano più tasse, perché nessun esattore osava presentarsi a riscuoterle. O prima o poi, certamente, quella festa sarebbe finita; ma intanto chi non pagava le tasse, se la godeva.

Una gioconda febbre di lavoro si diffondeva per le campagne ed una giovanile fiducia nell’avvenire.

Altrettanto immediati non furono certo i benefici della rivoluzione nei centri urbani, dove nella seconda metà del 1789 e per buona parte del 1790 continuò la crisi del 1787 e 1788.



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